La Scuola Italiana: i problemi attuali del nostro sistema scolastico
La scuola: il futuro dei bambini di oggi, dei ragazzi e tutti coloro che cercano il proprio posto nel mondo.
Io me le ricordo le mie scuole, ho sempre frequentato scuole pubbliche e mai private, maestre competenti, insegnanti che mi aiutavano ad appassionarmi alle materie di studio, persone che insomma, mi aiutavano a crescere.
Non c’erano le LIM, i tablet, supporti tecnologici se non per l’ora di informatica. Avevo i miei libri che profumavano di nuovo, i miei quaderni dove mi esercitavo a scrivere e degli album da disegno dove imparavo a disegnare, ritagliare, colorare, a far volare la mia fantasia.
I miei insegnanti erano persone reali, non venivano sostituiti da contenuti virtuali; li sentivo parlare e mi affascinavano, ero felice di andare a scuola.
Ma la Bella scuola italiana si è evoluta e io questo particolare me l’ero perso, fino a che 5 anni fa, non ci sono tornata con un ruolo però completamente diverso. Ci sono tornata per affiancare, sostenere, includere, costruire relazioni, valutare, osservare. Ci son tornata con le mie competenze, dopo 5 anni di studio, con la certezza errata, che avrei trovato tutto come una volta. Ma le cose sono cambiate.
“La scuola è il nostro passaporto per il futuro, poiché il domani appartiene a coloro che oggi si preparano ad affrontarlo.”
IL CAMBIAMENTO NON E’ SOLO QUESTIONE DI GENERAZIONE.
In questi anni di lavoro mi è capitato spesso di sentir dire diverse cose: scuole e famiglie fanno a gara a chi ha più colpa di chi se qualcosa va storto nell’ educazione dei bambini o nei loro comportamenti e che tutti i cambiamenti che ci sono dipendono da una generazione che è cambiata, da genitori che sono assenti, da bambini che sono sempre più iperattivi e distratti, che ci sono troppi stranieri, che ci sono troppi disabili…
Si attribuisce la colpa a tutti quei fattori che insomma, non si possono controllare.
Vi faccio degli esempi pratici:
- “Mio figlio non ha ancora imparato a leggere, ci sono troppi bambini stranieri in classe che ostacolano il suo apprendimento!”
- “Mio figlio ancora non sa ritagliare, con quei bambini disabili in classe come fanno a fare lavori del genere?”
- “L’insegnante di mio figlio è troppo severo, vedessi quanti compiti dà a casa!”
Potrei andare avanti all’ infinito: tutte frasi prese da situazioni di vita reali.
Ascoltate da genitori fuori da una scuola, sentite a dei colloqui o anche al supermercato a fare la spesa. Si, perché dovete sapere che io purtroppo ho una deformazione professionale: quando sono al parco a mangiare un gelato, quando sono in coda a fare la spesa o in metropolitana, io osservo e soprattutto ascolto… TUTTO. E da pedagogista a volte mi piacerebbe alzarmi e creare delle conversazioni con questi genitori, che si chiedono perché il proprio figlio ancora non sia un perfetto soldato di questa società e perché a 5 anni non sappia ancora risolvere un’equazione.
A volte mi piacerebbe invitare le famiglie a trascorrere le giornate nella scuola di oggi e far vedere con i loro occhi quello che accade e quello che i bambini raccontano.
Poi abbiamo la situazione parallela: ci sono insegnanti che affermano che i genitori sono disattenti, menefreghisti, saccenti.
Oppure insegnanti che si divertono a tenere pettegolezzi su madri e padri nei corridoi durante l’intervallo: “La madre di R. è fuori di testa, una con cui parli e sembra capire tutt’altro, è più handicappata lei del figlio!”. Ehi, “ottima affermazione!”, avrei voluto esclamare in quel momento. Conversazioni tenute a bassa voce in classe, mentre i bambini con le mani alzate aspettano indicazioni. Ci sono professori che in classe pensano ai fatti loro, che confidano agli alunni le loro situazioni di cuore e poi si lamentano se gli alunni ne parlano dei corridoi tra loro, prendendoli in giro.
Insomma, c’è una bella gara a chi ha più colpa di chi se questi bambini poi, sono “sbarellati!”
Tutti pensano alle colpe, a chi è più efficiente di altri, tutti parlano di generazione che è cambiata ma nessuno, almeno in questi anni di lavoro, si è mai posto una domanda fondamentale:
“Quali bisogni hanno i bambini e i ragazzi di oggi? Come la scuola e le famiglie possono andare incontro a questi bisogni?”
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IL PANORAMA NELLE SCUOLE ITALIANE OGGI
Partiamo dalla situazione più concreta, che è giusto che tutti conoscano. È vero, i bambini stranieri nelle nostre aule sono aumentati, è vero, i ragazzini con disabilità e difficoltà sono tanti. Molti in alcune classi, meno in altre.
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Il panorama scolastico ad oggi è composto da sigle e codici infiniti, vi elenco qui sotto quelle che più si sentono nominare, in modo tale da chiarire tutto quello che potreste sentire.
In una classe è probabile che ci siano alunni:
- DSA: la legge 170 sancita nell’ ottobre 2010 riconosce la disgrafia, la discalculia e la disortografia come disturbi specifici dell’apprendimento. Tale sigla indica gli alunni che hanno capacità cognitive adeguate senza alcun deficit cognitivo e sensoriale. Il disturbo specifico dell’apprendimento però può limitare alcune azioni della vita quotidiana e di conseguenza ha bisogno di specifiche metodologie d’intervento.
- BES: in un decreto ministeriale del 2012 si riconoscono gli alunni con Bisogni Educativi Speciali, ovvero tutti gli alunni che manifestano costantemente o temporaneamente particolari esigenze didattiche a causa di fattori cognitivi, sociali, psicologiche e fisiche.
- DVA: Sono gli alunni diversamente abili che possiedono patologie genetiche o psichiche che possono compromettere la loro sfera cognitiva e sociale.
- ADHD: Alunni con disturbo da deficit di attenzione e iperattività. E’ un disturbo che riguarda la sfera dell’autocontrollo e la capacità di regolare emozioni e di conseguenza comportamenti. E’ un disturbo che, nei casi più gravi, compromette il raggiungimento di obiettivi personali.
- DOP (oggetto della mia tesi di laurea magistrale): alunni con Disturbo Oppositivo Provocatorio. La diagnosi si applica a bambini che esibiscono livelli di rabbia persistente ed evolutivamente inappropriata, irritabilità, comportamenti provocatori ed aggressivi, che compromettono il loro adattamento sociale. Sono quasi certa nell’ affermare che questo tipo di diagnosi è quella che più terrorizza gli insegnanti, ma magari ne parleremo in un nuovo articolo.
Dunque, sono queste le classi delle scuole italiane odierne, classi in cui parlare di “normalità” ormai non ha alcun senso. E badate bene che quando parlo di classi non parlo solo di scuola primaria e secondaria, ma parlo anche di scuola dell’infanzia.
I nostri figli e i nostri ragazzi stanno crescendo in un panorama a cui noi non siamo mai stati abituati, dove i “diversi” venivano prelevati dalla classe e portati fuori e chi li vedeva più per tutta la giornata.
I diversi e i normali. Ma siamo sicuri che ad oggi ci siano ancora queste categorie?
UNA SCUOLA CHE NON E’ PRONTA, UNA SCUOLA CHE CHIEDE MA NON DONA.
Io non sono sicura che le categorie diverso/normale esistano, non so nemmeno se nella mia vita io abbia mai parlato di qualcuno come “diverso” ma forse perché in quella categoria ci sarei finita io. Con la mia autoanalisi di oggi, mi dico che sicuramente sarei stata una BES, al tempo del divorzio dei miei genitori, o una DSA (io e la matematica abbiamo un buon rapporto a distanza e non fatemi fare conti perché proprio non ce la faccio e sono seria, non sto scherzando) fatto sta che al mio tempo, e non vado troppo lontano, tutto questo non c’era.
Decreti, leggi, ordini, chiamateli come volete, io li riassumo in due parole sole: ATTENZIONE AI BISOGNI.
Dall’ alto ci dicono che nella scuola occorre stare attenti ai bisogni che gli alunni ci riportano, questa scuola che non è più solo il luogo del sapere teorico quindi, ma è quel luogo dove ogni ragazzo porta di sé qualunque cosa, e le persone che ci lavorano devono essere in grado di accogliere tutto questo.
Benissimo.
Poi però sempre dall’ alto fanno dei tagli, e con tagli sapete cosa intendo: tolgono soldi. Tolgono fondi alle scuole e succede che fino al mese di novembre, e non voglio immaginare in futuro quanto tempo ancora ci vorrà, nelle classi regna la confusione più totale.
Persone che entrano, arrivano e magari dopo due giorni vanno via perché ricevono un contratto più allettante e sicuro. Cattedre che vengono assegnate, confermate e poi no, perché se qualche altra persona spunta dalle graduatorie allora quella che era stata assunta deve tornare a casa e sperare di venire chiamata altrove.
Le favolose MAD, le domande di messa a disposizione che permettono praticamente a chiunque di fare l’insegnante. Dai Irene, ci stai dicendo che anche io potrei insegnare? Si! Se vuoi uno stipendio a fine mese si, puoi farlo per arrotondare se ti va. Ovviamente sono ironica ma non sto esagerando credetemi.
Durante i miei anni di lavoro, su un caso molto complesso e difficile che avevo, è arrivata un insegnante di sostegno che aveva come lavoro principale quello di rappresentante di un’azienda di integratori alimentari. Cosa faceva con il ragazzino? Niente. Lei stava al telefono tutto il giorno e lui stava in uno sgabuzzino davanti al computer per 6 ore. Tutti erano a conoscenza della situazione, preside compreso. La famiglia si lamentava, il ragazzino non la sopportava. Non è mai stato fatto niente.
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Questo era solo un esempio delle tante situazioni in cui sono inciampata, perché poi, in tutto questo marasma di persone che arrivano e se ne vanno ci siamo noi: gli educatori scolastici, noi che non siamo dello Stato ma dei Comuni. Ed essere del Comune significa una sola cosa: essere in mano alle cooperative sociali.
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C’è solo una parola per descrivere tutto questo: CONFUSIONE.
I nostri bambini e i nostri ragazzi vivono in un panorama confusionario e non hanno punti fissi. Non voglio difendere la mia categoria, ma difficilmente un educatore non garantisce la continuità. Conosco colleghi che seguono ragazzi alle scuole superiori che hanno conosciuto alla scuola materna, sono casi particolari e rari, ma questo vi fa comprendere la serietà del nostro lavoro e quanto possiamo dedicare della nostra vita a loro.
Quindi Irene, dove possiamo trovare il problema reale?
UN SISTEMA SBAGLIATO
Il problema reale è li alla base. Anzi, più che alla base viene proprio dall’ alto.
La scuola italiana pretende; mette l’attenzione sulle nuove emergenze sociali, psicologiche, cognitive e poi, al suo interno non permette a persone formate di intervenire.
Si, perché ad esempio, una rappresentante di integratori alimentari può essere un’insegnante di sostegno, ma una pedagogista no.
La pedagogista ha bisogno dell’abilitazione. È vero. Mi è stato detto tante volte che anche io potrei fare la MAD e iniziare ad insegnare, ma io non ho mai voluto farlo, almeno fino ad ora, perché non è una posizione sicura. Lo fai un anno e poi magari l’anno dopo non ti richiamano più, e quest’idea a me non è mai piaciuta. E allora si, fatti miei. Però tutto questo mi fa arrabbiare, e mi arrabbio sia per me stessa ma soprattutto perché so che ci rimette davvero sono i bambini e i ragazzi, e non solo quelli che hanno bisogno, ma tutti.
Tutti i bambini e i ragazzi che abitano le nostre scuole, hanno bisogni educativi speciali, perché l’epoca storica che stiamo vivendo è speciale e particolare: tutto quello che ci circonda è insicuro e fragile e terribilmente superfluo a volte e loro stanno crescendo nello stesso modo.
Insegnanti anziani che non vedono l’ora di andare in pensione e affermano di non capire più i ragazzi di oggi, insegnanti che spengono le luci della classe e accendono una LIM nella speranza che risulti più interessante delle parole che possono dire, ma i ragazzi hanno bisogno delle nostre parole.
Ma non delle parole che spiegano solo le teorie e i teoremi, hanno bisogno di parole che parlino di vita reale. Hanno bisogno di dibattiti e confronti, di esprimere la loro opinione e di avere un ruolo attivo nelle lezioni.
I bambini e i ragazzi di oggi non hanno più bisogno di stare seduti ai banchi tutto il giorno, ma hanno bisogno di usare i loro corpi per imparare, di muoversi nello spazio per diventare autonomi, di fare pratica di questa vita che ad oggi o sei pronto o ti schiaccia.
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I bambini e i ragazzi di oggi hanno bisogno di coerenza e di certezze. La scuola è un’istituzione che non ha più niente di istituzionale. Un’istituzione è definita in questo modo perché è ciò che dovrebbe definire un ordine e delle regole. Le regole vengono date ai ragazzi ma la scuola non ne segue nessuna, almeno nessuna che abbia a che fare con la coscienza.
LA SCUOLA
La scuola non è più il luogo dei miei ricordi. Mi capita di entrare alcune mattine con il magone, con in testa il pensiero che tra qualche anno io non sarò più in questo luogo perché lo sento lontano dai miei ideali e si, lontano dalla mia coscienza. Però a volte penso che andare controcorrente è quello che serve per cambiare le cose.
E allora io entro nelle classi e creo confusione. Uso i corpi, uso la palestra per fare geometria, creo progetti di cucina per imparare ad ampliare i vocabolari, costruisco orti nelle scuole per insegnare la sostenibilità e la geografia, decido di creare dibattiti in classe perchè voglio sentire la loro voce e a volte succede che gli appunti e gli schemi li faccio con i disegni e non con le parole e che si, discuto con i professori o le insegnanti. A volte capita che decido che i miei non devono per forza fare lezione o i compiti e allora uso il giardino della scuola per passeggiare o sederci al sole e ascoltare, per sapere cosa c’è che non va nelle loro vite. Allora succede che alcuni giorni mi sento invincibile e sento di aver compiuto una piccola rivoluzione perché sento che conosco cose di loro che sono molto più importanti di un voto che possono prendere.
La scuola. Non è più quella che ricordo ma è quella che nella mia testa vorrei diventasse, e se il sistema è sbagliato allora possiamo cambiarlo nel nostro piccolo, uno per uno, facendo un buon lavoro ogni giorno e tornando la sera a casa con la tranquillità di poterci guardare allo specchio senza rimorsi.
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Mi chiamo Irene, sono un’educatrice e pedagogista.
Per 5 anni l’Università degli Studi Milano Bicocca mi ha ispirata ed ospitata tra lezioni, laboratori ed esami, un percorso universitario il mio, che aiuta ad aprire il pensiero verso nuovi orizzonti.
Lavoro da quattro anni come educatrice presso scuole medie, elementari e centri aggregativi, dove ho lavorato accanto a minori con differenti patologie e diagnosi: disturbi specifici dell’apprendimento, disturbi psichici, disabilità fisiche e autismo.
Ho svolto servizi di assistenza domiciliare minori presso famiglie che vivono situazioni di grave difficoltà sociale e psicologica. Da un anno lavoro come pedagogista presso asili nidi e studi privati dove svolgo servizi di consulenza pedagogica e sostegno alla genitorialità.
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